Beatles a Bologna


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L'albero che parla (tre)


Colla fatatura, ci volle un batter d'occhio per tornare al luogo dove trovavasi l'albero che parla.
La strega non c'era, e l'albero gli disse:
- Bada! Dentro il tronco c'è nascosto il mio cuore. Quando dovrai abbattermi, non dar retta alla strega. Se ti dirà di dar i colpi in su, tu dalli in giù. Se ti dirà di darli in giù, tu dalli in su; altrimenti m'ammazzeresti. Alla stregaccia poi bisognerà spiccarle la testa con un sol colpo, o saresti spacciato; neppur la fatatura ti salverebbe.
Venne la strega.
- Che cerchi da queste parti?
- Cerco un albero per far del carbone, e stavo osservando uesto qui.
- Ti farebbe comodo? Te lo regalo, a patto che per atterrarlo tu dia i colpi dove ti dirò io.
- Va bene.
Il Re brandì la scure, che tagliava meglio d'un rasoio e domandò:
- Dove?
- Qui.
E lui invece, dié lì.
- Ho sbagliato. Da capo. Dove?
- Lì.
E lui invece dié qui.
- Ho sbagliato. Da capo.
Intanto non trovava il verso di assestare il colpo alla strega: essa stava guardinga. Il Re fece:
- Oooh!
- Che vedi?
- Una stella.
- Di giorno? E' impossibile.
- Lassù, diritto a quel ramo: guardate!
E mentre la strega gli voltava le spalle per guardare diritto a quel ramo, lui le menò il colpo e le staccò, di netto, la testa.
Rotta così la malìa, dal tronco dell'albero uscì fuori una donzella, che non poteva esser guardata fisso, tanto era bella!
Il Re, contentissimo, tornò insieme con lei al palazzo reale, e ordinò che si preparassero subito magnifiche feste per gli sponsali.
Arrivato quel giorno, mentre le dame di corte abbigliavano da sposa la Regina, s'accorsero, con grande meraviglia, che avea le carni dure come il legno. Una di esse volò dal Re:
- Maestà, la Regina ha le carni dure come il legno!
- Possibile?
Il Re e i ministri andarono ad osservare. La cosa era sorprendente. Alla vista parevano carni da ingannare chiunque; a toccarle, eran legno! Lei intanto parlava e si muoveva.
I ministri dissero che il Re non poteva sposare una bambola, quantunque essa parlasse e si movesse; e annullarono le feste.
- Qui c'è un altro incanto! - pensò il Re, che si ricordò dell'unto della scure.
Prese un pezzetto di carne e lo tagliuzzò con questa. Aveva indovinato! I pezzettini, alla vista, parevan carne da ingannare chiunque; a toccarli, eran legno. Il tradimento gliel'aveva fatto la figliuola dell'Orco, per gelosia.
Il Re disse ai ministri:
- Vado e torno-
E si trovò nel bosco, dove aveva incontrato quella ragazza.
- Maestà, da queste parti? Che buon vento vi mena?
- Son venuto apposta per te.
La figlia dell'Orco non voleva credergli:
- Parola di Re, che siete venuto apposta per me?
- Parola di Re!
Ed era vero; ma lei s'immaginava per le nozze. Si presero a braccetto ed entrarono in casa.
- Questa è la scure che tu mi prestasti.
Nel porgergliela, il Re fece in maniera di ferirla in una mano.
- Ah, Maestà, che avete fatto? Son diventata di legno!
Il Re si fingeva afflittissimo di quell'accidente:
- E non si può rimediare?
- Aprite quell'armadio, prendete quel barattolo, ungetemi tutta con l'olio che è lì dentro, e sarò guarita.
Il Re prese il barattolo:
- Aspetta che io torni!
Lei capì e si messe a urlare:
- Tradimento! tradimento!
E gli scatenò dietro i cento mastini di suo padre. Ma il Re era sparito.
Con quell'olio le carni della Regina tornarono subito morbide, e si poterono celebrare le nozze.

(fine)

L'ALBERO CHE PARLA è una delle tante fiabe di Luigi Capuana, scrittore che conobbe grande fortuna per queste sue favole scritte tra il 1882 e il 1913, reperibili in C'era una volta: le più belle fiabe siciliane edito da B&B nel 1997, oppure in Capuana: tutte le fiabe, Newton Compton, 1992.

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L'albero che parla (due)


Ma sbagliò strada. Quando s'accorse d'essersi smarrito in un gran bosco e non trovava più la via, pensò di montare in cima ad un albero per passarvi la notte; altrimenti, le bestie feroci n'avrebbero fatto un boccone.
Ed ecco, a mezzanotte, un rumore assordante per tutto il bosco. Era un orco che tornava a casa coi suoi cento mastini, che gli latravano dietro.
- Oh, che buon odore di carne cristiana!
L'orco si fermò a piè dell'albero, e cominciò ad annusar l'aria.
- Oh, che buon odore!
Il Re aveva i brividi mentre i mastini frugavano latrando, fra le macchie, e raspando il suolo dove fiutavan le pedate. Ma per sua buona sorte era buio fitto; e l'orco, cercato inutilmente per un po' di tempo, andava via chiamandosi i mastini: - Tè! Té!
Quando fu giorno, il Re, che tremava ancora dalla paura, scese da quell'albero e cominciò ad inoltrarsi cautamente.
Incontrò una bella ragazza.
- Bella ragazza, per carità, additatemi la via. Sono un viandante smarrito.
- Ah, povero te! Dove sei capitato! Fra poco ripasserà mio padre e ti mangerà vivo, poverino!
Infatti si sentivano i latrati dei mastini dell'Orco, e la voce di lui che se li chiamava dietro:
- Té! Té!
- Questa volta sono morto! pensò il Re.
- Vien qua, - disse la ragazza - buttati carponi. Io mi sederò sulla tua schiena e la mia gonna ti coprirà. Non fiatare!
L'Orco, vista la figliuola, si fermò.
- Che fai lì?
- Mi riposo.
- Oh, che buon odore di carne cristiana!
- Passava un ragazzino, e ne feci un bocconcino.
- Brava! E le ossa?
- Se le rosicchiarono i cani.
L'Orco non cessava d'annusar l'aria.
- Oh, che buon odore!
- Se volete arrivare alla marina, non indugiate per via.
Partito che fu l'Orco, il Re raccontò alla ragazza, per filo e per segno, tutta la sua storia.
- Maestà, se voleste sposarmi, la fatatura ve la darei io.
La ragazza era una bellezza; il Re l'avrebbe sposata volentieri.
- Ahimé, bella ragazza! Ho impegnata la parola.
- E' la mia cattiva sorte! Ma non importa.
Lo condusse a casa, prese un barattolo e gli strofinò il petto con una pomata di suo padre. Il Re fu fatato.
- E ora, bella ragazza, dovreste prestarmi una scure.
- Eccola.
- Che cosa è quest'unto?
- E' l'olio della cote dove è stata affilata.

(continua)

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L'albero che parla (uno)

L'ALBERO CHE PARLA è una delle tante fiabe di Luigi Capuana, scrittore che conobbe grande fortuna per queste sue favole scritte tra il 1882 e il 1913, reperibili in C'era una volta: le più belle fiabe siciliane edito da B&B nel 1997, oppure in Capuana: tutte le fiabe, Newton Compton, 1992.

C'era una volta un Re che credeva d'aver raccolto nel suo palazzo tutte le cose più rare del mondo.
Un giorno venne un forestiero, e chiese di vederle. Osservò minutamente ogni cosa e poi disse:
- Maestà, vi manca il meglio.
- Che cosa mi manca?
- L'albero che parla.
Infatti, tra quelle rarità, l'albero che parla non c'era.
Con questa pulce nell'orecchio, il Re non dormì più. Mandò corrieri per tutto il mondo in cerca dell'albero che parla. Ma i corrieri tornarono colle mani vuote.
Il Re si credette canzonato da quel forestiero, e ordinò d'arrestarlo.
- Maestà, se i vostri corrieri han cercato male, che colpa ne ho io? Cerchino meglio.
- E tu l'hai veduto, coi tuoi occhi, l'albero che parla?
- L'ho veduto con questi occhi e l'ho sentito con queste orecchie.
- Dove?
- Non me ne rammento più.
- E che cosa diceva?
- Diceva: aspettare e non venire è una cosa da morire.
Era dunque vero! Il Re spedì di bel nuovo i suoi corrieri. Passa un anno, e questi ritornano da capo tutti colle mani vuote. Allora, sdegnato, ordinò che al forestiero si tagliasse la testa.
- Maestà, se i vostri corrieri han cercato male, che colpa ne ho io? Cerchino meglio.
Questa insistenza lo colpì. Chiamati i suoi ministri, disse che voleva andar lui in persona alla ricerca dell'albero che parla. Finché non l'avesse nel suo palazzo non si terrebbe per Re. E partì, travestito. Cammina, cammina, dopo molti giorni la notte lo colse in una vallata dove non c'era anima viva. Sdraiossi per terra e stava per addormentarsi, quand'ecco una voce che pareva piangesse:
- Aspettare e non venire è una cosa da morire!
Si scosse e tese l'orecchio. Se l'era sognato?
- Aspettare e non venire è una cosa da morire!
Non se l'era sognato! E domandò subito:
- Chi sei tu?
Non rispondeva nessuno. Ma le parole erano, precise, quelle dell'albero che parla.
- Chi sei tu?
Non rispondeva nessuno. La mattina, come aggiornò, vide lì vicino un bell'albero coi rami pendenti fino a terra: doveva esser quello! E, per accertarsene, stese la mano e strappò due foglie.
- Ahi, perché mi strappi?
Il Re, con tutto il suo gran coraggio, rimase atterrito.
- Chi sei tu? Se sei anima battezzata rispondi, in nome di Dio!
- Sono la figliuola del Re di Spagna.
- E in che modo ti trovi lì?
- Vidi una fontana limpida come il cristallo, e pensai di lavarmi. Non appena toccai quell'acqua, rimasi incantata.
- Che posso fare per liberarti?
- Bisogna aver la fatatura e giurare di sposarmi.
- Questo lo giuro subito, e la fatatura saprò procurarmela, dovessi andare in capo al mondo. Ma tu, perché non mi rispondevi la notte scorsa?
- C'era la strega... Sta' zitto, allontanati, sento la strega che ritorna. Se per disgrazia ti trovasse, incanterebbe anche te.
Il Re corse a nascondersi dietro un muricciolo, e vide arrivare la strega a cavallo del manico di una scopa.
- Con chi hai tu parlato?
- Col vento dell'aria.
- Veggo qui delle pedate.
- Son forse le vostre.
- Ah! son le mie?
La strega afferrava una mazza di ferro e:
- E di dove vengo? Vengo dal mulino?
- Basta per carità! Non lo farò più!
- Ah! son le mie! E di dove vengo? Dal mulino?
Il Re, angustiato, si persuase che era inutile il seguitare a star lì; bisognava procurarsi la fatatura. E tornò indietro.

(continua)

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Buona la prima!

“Un fiore che parla” e “Le tue lettere” (che vedete anche nel cartoncino da jukebox appoggiato sul notebook) è un 45 giri di Mau Cristiani, il quale, comunque, non si limitò a questo singolo ma, insieme al giovanissimo Salvatore Cutugno reduce da precedenti esperienze (prima con Ghigo e i Goghi e poi con Toto e i Tati), partecipò anche al Festival di Sanremo del 1976 negli Albatros col brano “Volo AZ504”.


A proposito di limitazioni... vi propongo un Atto Unico tratto dal terzo numero di un settemestrale che vi consiglio d’acquistare e che si chiama “l’accalappiacani” edito da “Derive e Approdi”


La Portafinestra

Personaggi: una moglie e un marito.

Scena: una stanza arredata con sfarzo: mobili antichi, quadri d'autore, tappeti. Una portafinestra dà su un giardino molto curato. La moglie sta mettendo in ordine alcuni ninnoli d'argento, il marito non si vede.
 
Moglie: Che cosa stai facendo, caro?
Marito: Niente, cara, scoreggiavo un po’ in giardino.
Moglie: Ma sei matto? Tra dieci minuti arrivano gli ospiti.
Marito (facendo capolino dalla portafinestra): Che c’entra? Abbiamo milioni di metri cubi d’aria qua fuori.
Moglie: Ti ho detto di smetterla!
Marito (entrando nel soggiorno): E va bene, ma se devo smettere di scoreggiare è la volta buona che riprendo con il fumo! (Scaravolta due o tre cassetti, trova un vecchio toscano e se lo accende).

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